IL TRIBUNALE Ha emesso la seguente ordinanza nella causa civile iscritta al n. 2489 del ruolo generale degli affari contenziosi dell'anno 1991, vertente tra il comune di Reggio Calabria, in persona del suo sindaco pro-tempore, elettivamente domiciliato in Reggio Calabria alla via Caprera n. 26 presso lo studio dell'avv. Paolo Neri che lo rappresenta e difende, giusta procura in atti, opponente, e Labate Lorenzo, titolare dell'omonima impresa, rappresentato e difeso, giusta procura in atti, dall'avv. Francesco Borgia, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Reggio Calabria, via Filippini, 38, opposto. R i l e v a In data 27 novembre 1991 il presidente di questo tribunale ingiungeva al comune di Reggio Calabria, su istanza ed in favore di Lorenzo Labate, titolare di omonima impresa di costruzione, di pagare la somma di L. 10.260.700 a titolo di compenso per i lavori di rifacimento di un tratto di fognatura in via Santa Lucia al Torrente di questa citta' dallo stesso Labate eseguiti giusta verbale di somma urgenza del 23 febbraio 1990. Avverso tale decreto il comune ingiunto proponeva opposizione eccependo che la procedura di somma urgenza seguita dai funzionari per l'ordinazione dei lavori non era stata regolarizzata nel termine di trenta giorni previsto improrogabilmente dal terzo comma dell'art. 23 del d.-l. 2 marzo 1989, n. 66, convertito nella legge 24 aprile 1989, n. 144, e che, pertanto, nessuna responsabilita' per il mancato pagamento era configurabile in capo all'Amministrazione comunale, essendo il rapporto obbligatorio intercorso, a norma del quarto comma del citato art. 23, con i funzionari che avevano ordinato al Labate i lavori. Costituendosi in giudizio il creditore opposto, pur riconoscendo che il comune non aveva nei termini regolarizzato la procedura di somma urgenza, affermava che comunque l'Ente opponente doveva ritenersi tenuto al pagamento, quanto meno ai sensi dell'art. 2041 c.c. avendo riconosciuto l'utilita' dei lavori eseguiti. O s s e r v a Dal chiaro dettato della norma (art. 23, comma quarto, della legge n. 144/1989) si evince che il rapporto obbligatorio, in mancanza di una valida deliberazione dell'Ente, intercorre, ai fini della controprestazione e per ogni altro effetto di legge, tra chi ha ordinato l'opera e/o il servizio e chi li ha eseguiti. Avendo, quindi, un'azione diretta nei confronti del funzionario o dell'amministratore del comune, l'esecutore delle opere non avrebbe alcuna possibilita' di agire nei confronti dell'Ente, neppure a norma dell'art. 2041 c.c., se non in via surrogatoria del funzionario o dell'amministratore, cosi' come ha recentemente affermato la Corte costituzionale affrontando il problema del contrasto della norma in esame con gli artt. 3 e 24 della Costituzione (v. Corte costituzionale n. 446 anno 1995). Sollevando la questione di ufficio, ritiene il tribunale che non sia manifestamente infondata e, nel caso in esame, abbia rilevanza ai fini della decisione della controversia insorta direttamente tra il Labate, esecutore dei lavori, e l'Amministrazione comunale, l'eccezione di incostituzionalita' della suddetta norma perche' in contrasto con l'art. 28 della Costituzione. Invero, prevede l'art. 28 Cost. che i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli Enti pubblici, sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti; e soggiunge: "In tali casi la responsabilita' civile si estende allo Stato e agli enti pubblici". Trattasi della responsabilita' diretta della p.a. per il risarcimento dei danni provocati dai suoi agenti nell'esplicazione dell'attivita' amministrativa. Di tale operato, a mente del citato art. 28 Cost., l'Amministrazione e' tenuta a rispondere indipendentemente dalla responsabilita' personale degli stessi agenti, purche' il fatto sia riferibile all'Amministrazione e l'evento sia dannoso per i terzi (giurisprudenza costante: da ultimo: Cass., sez. I, 7 ottobre 1993, n. 9935). Appare, pertanto, davvero incongruo ed irragionevole, e soprattutto contro la ratio ed il dettato dell'art. 28 della Costituzione, che i terzi, i quali abbiano subito un danno ad opera dei dipendenti di una p.a., che abbiano agito con colpa o dolo ed in violazione dei doveri di ufficio, possano agire direttamente per il ristoro dei danni nei confronti della Amministrazione pubblica, mentre - secondo quanto prescrive l'art. 23 citato - sarebbero carenti di azione nei confronti della p.a. nel caso in cui questa si sia indebitamente arricchita, con correlativa diminuzione patrimoniale di chi ha eseguito le prestazioni, in conseguenza di comportamenti non illegittimi dei suoi dipendenti. Mancando nella specie - e per il comportamento non certamente commendevole della p.a. che, pur sapendo essere stato riparato il grave danno conseguente allo scoppio delle fogne, non ha tempestivamente regolarizzato i lavori autorizzati dai suoi dipendenti per ragioni di somma urgenza - un valido rapporto obbligatorio e non essendo esperibile (in virtu' dell'inciso "e per ogni effetto di legge"), da parte dell'esecutore dei lavori, nemmeno l'actio de in rem verso nei confronti del comune, l'art. 23 della legge in esame appare, a giudizio del collegio, gravemente in contrasto con l'art. 28 della Costituzione, per cui va nuovamente sottoposto, e sotto questo diverso profilo, al giudizio di legittimita' della Consulta.